Chi sono

Ho scelto di titolare il mio blog “Urli di colore” perché i miei dipinti hanno colori accesi, fortemente contrastanti. Sono come urli dell’anima; un misto di gioiosa espressione interiore e malinconia. È evidente a tal proposito il riferimento, in alcune opere , a Van Gogh, per il vigore e la violenza attraverso i quali esprime il suo malessere, e a Klimt per la ricerca decorativa. Ecco, nelle mie opere coesistono questi due elementi: il desiderio di realizzare cose esteticamente piacevoli e il bisogno incontrollato di esprimere un malessere intimo.



sabato 6 febbraio 2016

Calendario del Liceo 2016. Eduardo, il cuore di Napoli


Illustrazione di Copertina

Il calendario dell’Isis “Rosmini”, dopo le scorse edizioni dedicate ai tre momenti della Commedia di Dante Alighieri, e al suo messaggio universale, ritorna in Campania con Eduardo De Filippo, il grande drammaturgo, poeta, regista e attore napoletano. Ma anche quello di Eduardo, benché la sua opera sia fortemente radicata nella sua città, è un discorso di portata universale. Erede di Luigi Pirandello, Eduardo, a differenza dello scrittore siciliano, non lascia il suo dialetto per l’italiano. Eduardo infatti scrive sempre in “vernacolo”, ma fa un lavoro sulla lingua napoletana aprendola a una migliore comprensione in ogni parte d’Italia, pur conservandone il timbro inconfondibile e tutta la potenza espressiva. Ma il teatro di Eduardo viaggia anche all’estero, e viene rappresentato fuori del nostro Paese. Da alcune commedie vengono tratti anche film, anch’essi destinati a viaggiare per il mondo, grazie al prestigio internazionale che il cinema italiano ha avuto per un lungo periodo a partire dal secondo dopoguerra. Così, Vittorio De Sica ha diretto, per esempio, L’oro di Napoli nel 1954, un film a episodi nel quale compare, come attore, lo stesso Eduardo, insieme a Totò e l’indimenticabile “pizzaiola” Sofia Loren, e Matrimonio all’italiana, dieci anni dopo, nel 1964. Tratta da Filumena Marturano, questa pellicola vede Marcello Mastroianni e Sofia Loren nei panni che erano stati di Eduardo e Titina De Filippo sia nella pièce teatrale del 1946 che nel film del 1951 diretto dallo stesso Eduardo. La commedia, in inglese, viene rappresentata nel 1977 a Londra, per la regia di Franco Zeffirelli, e a Broadway, negli Stati Uniti, nel 1979, sotto la direzione del grande attore inglese Laurence Olivier. Sono solo alcuni esempi per sottolineare la grande statura intellettuale di Eduardo, che viene chiamato ormai solo così, col nome di battesimo: una “sigla” riconoscibilissima. Una figura carismatica, a cui il nostro Istituto dedica un calendario monografico a dieci anni di distanza da quello dedicato, nel 2005, a un altro intellettuale – poeta, scrittore, regista – di rilievo internazionale: Pier Paolo Pasolini. Un filo rosso lega Pasolini e Eduardo. Pasolini, infatti, prima di morire assassinato, aveva progettato un film che avrebbe dovuto vedere proprio Eduardo nei panni del protagonista. Dopo Totò, ecco per Pasolini un altro attore napoletano, per un film purtroppo mai realizzato. In teatro l’eredità di Eduardo viene raccolta dal figlio Luca, prematuramente scomparso nel 2015 (il cui volto vediamo qui riprodotto soprattutto nelle tavole dedicate a Natale in casa Cupiello e a De Pretore Vincenzo). Ma tra i primi a “rilevare” il teatro di Eduardo sono anche i fratelli Aldo e Carlo Giuffré. Più recentemente, è toccato a Toni Servillo e a Massimo Ranieri, il cui viso scavato ha impressionanti somiglianze con quello di Eduardo. Quel volto – di Eduardo – che Mario Errico, docente di arte del “Rosmini” riproduce nelle tavole di questo Calendario. L’avete visto affacciarsi già nella copertina, il suo viso. Anzi, in un gioco virtuosistico di Errico, vediamo raffigurati i “volti” dell’attore nelle varie espressioni, così come vari, diversi, e tutti legati tra loro, sono i personaggi portati in teatro da Eduardo: i tanti personaggi napoletani, le svariate figure umane, tutte le possibili declinazioni colte nelle circostanze della vita. E segue poi, nelle pagine che ora scorrerete – o che avete già sogguardato –, la galleria dei personaggi di alcune delle commedie più famose: ma anche qui, spesso, Errico ci restituisce, in un’unica tavola, oltre che più momenti della vicenda, più espressioni della maschera naturale di Eduardo.  Un virtuosismo cromatico, pur nei soffusi colori pastellati, cui la tavolozza di Errico ci ha abituati, illumina i personaggi de Le voci di dentro: il protagonista è un commerciante di fuochi d’artificio. Un fuoco d’artificio è infatti la recitazione di Eduardo, la cui voce assume timbri e colorazioni varie, pur in una naturalezza che ci fa dire che, mentre gli altri attori “recitano”, Eduardo “parla”, “dice”. E nei colori soffusi e caldi di Errico questo dire riemerge, come nel sogno della memoria, e si fa ricordo vivo.
Enzo Rega

EDUARDO
Il cuore di Napoli

 

Tav.9 La grande magia


“Fuitevenne!”


“È stata tutta una vita di sacrifici e di gelo! Così si fa il teatro. Così ho fatto! Ma il cuore ha tremato sempre tutte le sere! E l'ho pagato, anche stasera mi batte il cuore e continuerà a battere anche quando si sarà fermato”. Così parlava Eduardo in quella che sarebbe stata la sua ultima apparizione pubblica, al Teatro Greco di Taormina, il 15 settembre 1984. Chi l’ha


Tav.14 - 24 maggio 1984, Eduardo all' Università La Sapienza di Roma

visto e ascoltato quella volta si è reso subito conto che si trattava del suo testamento spirituale. Nato a Napoli il 24 maggio 1900, Eduardo, pochi giorni dopo quell’ultima
comparsa, il 31 ottobre del 1984, è morto a Roma, dove viveva da anni. “Fuitevenne!” è la famosa esortazione con cui invitava ad abbandonare Napoli, se si voleva fare qualcosa di buono nella vita. Ma, con il suo teatro, scritto e recitato da lui stesso, con il figlio Luca, appena scomparso, Eduardo De Filippo non ha mai lasciato la sua città. E quando appariva sul palco di un teatro non solo il suo cuore batteva forte, ma anche quello degli spettatori. È in loro che il cuore di Eduardo infatti continuerà a pulsare finché qualcuno porterà in scena le sue battute. Non solo il cuore dei napoletani continua a battere per lui e con lui. Eduardo è un genio universale, come, in Italia, lo è stato Luigi Pirandello, che Eduardo ha conosciuto e il cui teatro, soprattutto in alcune commedie, ha per alcuni aspetti ripreso. Tanto “universale” che il presidente della Repubblica italiana Sandro Pertini l’ha nominato senatore a vita. Eduardo è stato anche candidato al premio Nobel per la letteratura. L’immagine che ci si porta dentro per quell’ultima apparizione coincide con quella dell’intervento all’università di Roma di qualche mese prima, il 29 maggio 1984: il volto magro più scavato che mai, gli occhiali dalla montatura nera con una mascherina a coprire l’occhio sinistro.

La scuola del teatro

 
Eduardo è nato in teatro. Infatti – è bene ricordarlo soprattutto ai più giovani, ormai lontani da quel mondo, non solo per


motivi cronologici – è il figlio naturale del commediografo napoletano Eduardo Scarpetta: è la madre però, Luisa de Filippo, una sarta teatrale, a dare il suo nome ai figli: Eduardo, e Peppino e Titina (la maggiore d’età). I tre hanno spesso lavorato insieme, prima di prendere strade diverse, sempre nel mondo del teatro o del cinema. A soli quattro anni Eduardo debutta su un palcoscenico, come precoce è stato l’esordio del figlio Luca che ne ha raccolto l’eredità teatrale, ma anche l’impegno civile. Eduardo entra nel 1914 nella compagnia teatrale del fratellastro Vincenzo Scarpetta, un figlio invece riconosciuto dal padre, del quale porta in scena le commedie: un teatro apparentemente più “leggero” di quello di Eduardo De Filippo che, pur non rinunciando agli effetti comici, spesso irresistibili, dà un ritratto della Napoli e della società del suo tempo. Nel 1927 Eduardo crea, con ifratelli Peppino e Titina, una prima propria compagnia, la Galdieri-De Filippo. È nel 1931 che nasce però la compagnia chiamata Teatro umoristico I De Filippo, che mette in scena per la prima volta, in quello stesso anno, una delle commedie più famose di Eduardo, Natale in casa Cupiello. L’incontro con Luigi Pirandello, conosciuto personalmente, e con il suo teatro, contribuisce a far acquisire un respiro più ampio alla scrittura teatrale di Eduardo, che non rimane nell’ambito, pur prestigioso, della “commedia dell’arte” italiana. Nel 1944 litiga con il fratello Peppino e fonda una nuova compagnia, Il Teatro di Eduardo, che trova la sua sede nel Teatro San Ferdinando ricostruito a proprie spese dopo la guerra, nel 1948. Intanto, vengono rappresentate altre celebri commedie: Napoli milionaria! nel 1945, Questi fantasmi! e Filumena Marturano nel 1946. Seguiranno poi gli altri capolavori, tutti riuniti nelle due raccolte, Cantata dei giorni pari e Cantata dei giorni dispari.

La scuola della vita


L’impegno di Eduardo non riguarda solo il teatro, sebbene già
con il suo teatro svolga una funzione “civile” di analisi e critica della realtà. La ricostruzione del San Ferdinando, in nome dell’arte e della cultura a Napoli, già lasciano una forte impronta in questo senso: qui rappresenta non solo le sue opere, ma cerca di rilanciare le commedie di diversi autori napoletani. E Eduardo si batte anche la per la creazione di uno Teatro Stabile di Prosa nella sua città:  l’ambizione è quella di unire la grande tradizione teatrale partenopea con il grande teatro europeo. La battaglia culturale è una battaglia civile. Il riconoscimento è la nomina a senatore a vita conferitagli dal presidente Pertini nel 1981. Ma Eduardo esce dalla sala del teatro e va per le strade della città, i cui umori, malumori, speranze e disperazioni porta sulla scena. Se si dedica a corsi di drammaturgia all’università La Sapienza di Roma, corsi dedicati ai giovani, va anche a visitare i giovani meno fortunati dell’Istituto Filangieri, un carcere minorile di Napoli. Eduardo sarebbe contento di sapere che ora il Filangieri è stato riaperto  con il nome di “Scugnizzo Liberato”, ed è un luogo nel quale si svolgono attività gratuite come laboratori, cineforum e doposcuola.

“Te piace 'o presepio?” - 1931

Certe battute del teatro di Eduardo sono diventate
Tav. 4 Natale in casa Cupiello
famosissime, in alcuni casi proverbiali. Sono il logo che rendono immediatamente riconoscibile la commedia in cui vengono pronunciate, ma segnano anche una realtà umana. Come non riconoscere che “Te piace 'o presepio?” è il tormentone più famoso di Natale in casa Cupiello, e del teatro di Eduardo. E ci viene subito in mente il protagonista, Luca Cupiello, chiuso nel suo mondo, che è poi quello di una comunità d’affetti tradizionali che si riconosce intorno a uno degli emblemi cristiano-partenopei: il presepe. Ma mentre Luca vi si perde, come un eterno bambino, intorno la sua famiglia si dissolve: la figlia Ninuccia ha un amante che è amico del fratello fannullone, Nennillo, che, ignaro, lo riceve addirittura a casa nel giorno di Natale, e Luca, per sovrappiù, lo invita addirittura a pranzo, facendolo incontrare con il marito di Ninuccia. Quando se n’accorge, Luca ha un malore che lo porterà a morte. E sul letto di morte, Nennillo, alla solita domanda,  “Te piace 'o presepio?”, finalmente risponde “sì”. Ma il padre morente, in un’ultima allucinazione, stringe tra le sue mani quelle della figlia con quelle dell’amante scambiato per il marito Nicolino… ultimo inganno di questa tragicomica commedia degli equivoci.

“Ha da passà ’a nuttata” – 1945


È la guerra la protagonista di Napoli milionaria! del 1945. La


guerra combattuta al fronte ma anche quella della miseria quotidiana. Gennaro fa ritorno dalla guerra per trovare la famiglia intenta in loschi affari per tirare avanti: vorrebbe raccontare ciò che ha passato in guerra, ma nessuno lo ascolta, e si mette allora vicino alla figlia piccola, malata. “Ha da passà ’a nuttata”, dice il medico, intendendo che se sopravvive durante la notte, ce la può fare a salvarsi. Ma le occorre una medicina che non si trova in città: il sospetto è che sia stata nascosta, per farne aumentare il prezzo. La medicina la porterà il ragioniere Spasiano, ridotto in miseria da Amalia, la moglie di Gennaro. Eppure Spasiano, che ha dovuto usare la medicina per i propri figli, non si fa pagare: però fa notare alla donna che quando si trattava di non far morire di fame i figli del ragioniere, lei non è andata tanto per il sottile. Eppure, dice Spasiano, incarnando una morale diversa, basata sulla reciproca solidarietà: “Chi prima, chi dopo, ognuno deve bussare alla porta dell'altro”. Le cose nella famiglia di Gennaro prendono una piega diversa: la bambina si salva, il figlio Amedeo smette di rubare, la moglie Amalia rinuncia alla sua brama di denaro. E così la celebre battuta, “Ha da passà ’a nuttata”, esprime anche la speranze che prima o poi la notte passerà, e un nuovo giorno, migliore, ne prenderà finalmente il posto.

“ ‘E figlie so’ figlie e so’ tutt’eguale!” - 1946

 
La crisi della famiglia è al centro di una successiva commedia


di Eduardo, Filumena Marturano del 1946. Filumena, che è stata prostituta da giovane, viene mantenuta per venticinque anni da Mimì Soriano, un ricco pasticciere napoletano, che è stato suo cliente. Ma non la sposa. E Filumena lo prende con l’inganno, fingendosi in punto di morte, e ottenendo così il matrimonio. Ma è anche il momento della resa dei conti da parte della rediviva Filumena, che ha avuto tre figli, che ha mantenuto nel frattempo “a distanza”. I tre figli, che non si conoscono, sono ormai cresciuti. E uno di loro è figlio di don Mimì, ma Filumena non gli dice quale. Appunto: “ ’E figlie so’ figlie e so’ tutt'eguale!”. Mimì, che aveva deciso di sposare davvero Filumena (il matrimonio estorto con l’inganno non è valido), vuole mandare tutto all’aria. Ma si sente chiamare “papà” da uno dei ragazzi, e allora… Ecco, così viene superata la crisi della famiglia: anzi, finalmente la famiglia viene costituita. Filumena percorre tutto il cammino: da prostituta a mantenuta a moglie. È anche la condizione della donna, il suo sfruttamento, a essere messo sotto accusa. Filumena è il personaggio positivo. Mimì invece, fino alla “conversione” finale è l’uomo, il “maschio”, mediocre, preoccupato solo di se stesso, del proprio piacere e del proprio benessere.

“Un avvertimento affettuoso” – 1960


Un uomo di tempra diversa è invece Antonio Barracano,

Tav.12 Il Sindaco di Rione Sanità

ovvero Il sindaco del rione Sanità, come recita il titolo della commedia del 1960. A prima vista può sembrare una specie di “padrino”. Di sicuro, è un delinquente borderline, ma che persegue l’obiettivo di portare la giustizia (dopo essersi lui macchiato di un delitto, facendola franca) a costo di rimetterci la vita, come difatti avviene. Barracano viene “consultato” da due giovani fidanzati. Lui, Rafiluccio, è figlio di un ricco panettiere che l’ha cacciato di casa; lei, Rituccia, è già incinta. I due fanno la fame, e Rafiluccio ha deciso di uccidere il padre. Anche questa è proprio una bella famiglia! Barracano, che vuole evitare il delitto, viene accoltellato dal panettiere. Il “sindaco” però, invece di farsi curare in ospedale, impiega le ultime ore per estorcere al panettiere un aiuto economico per Rafiluccio, e poi morire assistito dal suo braccio destro, il dott. Della Ragione. E proprio Della Ragione, che in una scena precedente aveva detto di volersene andar via, era stato minacciato di morte da Barracano. Anzi, il Sindaco del Rione Sanità aveva chiarito la differenza tra  minaccia e avvertimento: la minaccia la fa l’uomo “di niente”, che poi non è capace di combinare un bel nulla; l’avvertimento è invece di chi fa seguire i fatti alle parole, e che perciò, prima di agire, si preoccupa di avvisare la sua possibile vittima: il suo è un "avvertimento affettuoso".

“Per favore, un poco di pace!” – 1948

 
Tornando indietro nel tempo, troviamo un’altra famiglia strana, quella dei Cimmaruta, nella quale tutti sono disposti a sospettare di tutti. A dar via alla vicenda è Alberto Saporito. Una notte sogna che i vicini, i Cimmaruta, appunto, uccidono l’amico Aniello Amitrano facendone sparire il cadavere: scambiando il sogno per realtà, tanto è vivido, li denuncia.  I Cimmaruta, uno alla volta, vanno a trovare Alberto, e si accusano l’uno con l’altro, per poi decidere di uccidere Alberto per salvarsi dall’accusa per un omicidio che nessuno ha commesso, ma che ciascuno ha considerato “possibile”. Sogno e realtà si confondono in questa amara commedia, dal sapore pirandelliano. Su tutto campeggia il tema dell’incomunicabilità, che trova massima espressione nello zio Nicola, che, deluso da tutto, ha smesso di parlare e si esprime con dei suoni simili a scoppi di petardi. Volendo mantenersi estraneo al mondo, abita in una palafitta al centro della casa, dove morirà, durante la commedia, esclamando: “Per favore, un poco di pace!”.

“Gli esami non finiscono mai” – 1973

 
Anche il protagonista dell’ultima commedia scritta da
Tav.12 Gli esami non finiscono mai
Eduardo, Gli esami non finiscono mai, tal Guglielmo Speranza, fingerà, verso la fine della sua vita, di non poter parlare più. È il suo modo per ritirarsi da una vita che gli è apparsa come una serie di prove, di esami appunto, da superare continuamente. Prima l’esame di laurea, poi l’esame cui l’hanno sottoposto i suoi futuri suoceri che gli consentiranno di sposare Gigliola solo se si dimostrerà in grado di fare una carriera brillante. Prova che supererà, riuscendo dunque a sposare Gigliola, dalla quale avrà due figli. Ma anche qui la famiglia risulta fonte di delusione, e la vita di Guglielmo amara, fino appunto alla scelta del silenzio. Dal tutto emerge una dura verità, la vita è una serie di prove da superare, appunto: “gli esami non finiscono mai”. Un’espressione divenuta proverbiale, a sottolineare il carattere universale dell’opera del grande Eduardo.

Enzo Rega

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