Chi sono

Ho scelto di titolare il mio blog “Urli di colore” perché i miei dipinti hanno colori accesi, fortemente contrastanti. Sono come urli dell’anima; un misto di gioiosa espressione interiore e malinconia. È evidente a tal proposito il riferimento, in alcune opere , a Van Gogh, per il vigore e la violenza attraverso i quali esprime il suo malessere, e a Klimt per la ricerca decorativa. Ecco, nelle mie opere coesistono questi due elementi: il desiderio di realizzare cose esteticamente piacevoli e il bisogno incontrollato di esprimere un malessere intimo.



mercoledì 29 gennaio 2014

Il Purgatorio di Dante: un viaggio purificatore

Continua, quest'anno, la tradizionale pubblicazione del Calendario illustrato dell'I.S.I.S. (ex Liceo Classico) A. Rosmini di Palma Campania con la seconda parte del viaggio di Dante nella Divina Commedia. Di seguito le illustrazioni e il commento di Enzo Rega.


Il Purgatorio: un Inferno rovesciato
Con l’uscimmo a rivedere le stelle, la conclusione della prima Cantica, l’Inferno, sembra restituire speranza a Dante, accompagnato dal suo maestro Virgilio. E in effetti, al cono rovesciato che si apre all’interno della terra, nella terra sprofondando, in antitesi “corrisponde,” scrive Natalino Sapegno, “con l’esattezza di un calco che riproduce il disegno
 della sua matrice, nel mezzo dell’emisfero opposto, solitaria nell’immenso oceano, l’altissima montagna dell’Eden, sulle cui pendici Dante colloca, come sui gradini di una scala che faticosamente ascende verso il cielo, le anime dei penitenti intenti… a rendersi degni della promessa beatitudine”.
Ecco allora questo “secondo regno”: “calco” del precedente, e quindi come esso luogo di espiazione, ma opposto, aperto cioè alla speranza della redenzione. Dalla notte infernale, infatti, Dante e Virgilio, scrive ancora Sapegno, si trovano “d’un tratto in un mondo nuovo, soffuso di tenue luce aurorale”, con un cielo d’un azzurro sereno solcato da astri luminosi.
Questa atmosfera rendono i primi versi della nuova Cantica:


Per correr migliori acque alza le vele
ormai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro sé mar sì crudele;
e canterò di quel secondo regno
dove l’umano spirto si purga
e di salire al ciel diventa degno.

L’eco universale dell’Inferno riparla nelle vicende degli uomini di ogni tempo, e nelle anime dei dannati trasportati da Caronte possiamo ritrovare tutti I dannati della terra, come Frantz Fanon, scrittore martinicano discendente di schiavi negri, chiama i popoli colonizzati, con un’espressione che possiamo riferire a tutti coloro, persone o intere comunità, che, abbandonata la scialuppa infernale, s’imbarcano ora speranzosi su questa nuova “navicella” del Purgatorio. E vedervi tutti i popoli che escono da guerre e regimi dittatoriali, o anche che sporgono fuori il capo da profonde crisi economiche.

Ahi, serva Italia!
Il Purgatorio non è però già il Paradiso. È Catone Uticense a farsi incontro ai due – Dante e Virgilio – con parole minacciose che fanno intendere come l’ascesa al cielo non sia cosa già fatta. I popoli che escono da una guerra, da una dittatura, da una crisi epocale devono ricostruire sulle macerie, a partire dalle macerie: è questa una condizione purgatoriale, un compito nuovo da affrontare ma, questa volta, nella prospettiva di una salvezza.
Ed ecco, nel Canto VI, le anime affollarsi intorno ai due viaggiatori per chiedere di abbreviare la loro permanenza nell’Antipurgatorio. Quella permanenza che sembra ancora destinata al nostro Paese che, risorto dalle macerie del fascismo e della seconda guerra mondiale come repubblica democratica, fatica a trovare un vero assetto dignitoso. Tanto che possiamo rileggere, sentendola purtroppo ancora attuale, la celebre terzina nella quale Dante, vedendo abbracciarsi i due mantovani, Virgilio e Sordello di Goito, che si riconoscono come concittadini, apostrofa così la propria Patria:

Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave senza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincia, ma bordello!



Ecco qui una nuova imbarcazione, dopo quella infernale di Caronte, e quella che ha aperto il Purgatorio: ora si tratta dell’Italia stessa, una grande nave che, per fare “l’inchino” ai troppi potenti di turno, finisce per restare, ieri come oggi, senza un vero timoniere e rischiarare il naufragio. Dimenticando i sobri costumi di una pudica donna di provincia – quel mos maiorum che Catone stesso invano riproponeva ai suoi compatrioti nell’antica Roma repubblicana –, l’Italia di oggi e di ieri appare un gran carrozzone circense, un bordello dai costumi smodati

Seguiamo poi Dante percorrere le cornici del Purgatorio, incontrando, in sette gironi, altrettanti “vizi”. Passano davanti a lui i superbi (Canto X), gravati dal peso di grossi macigni che li costringe, rannicchiati, a volgere verso il basso, in segno d’umiltà, i volti che una volta venivano tenuti superbamente levati; o costretti a guardare poco oltre (Canto XII) bassorilievi raffiguranti esempi di superbia.
Ecco poi (Canto XIII) gli invidiosi, con indosso un saio che li obbliga a un atteggiamento d’umiltà, e gli occhi cuciti, perché non guardino più ciò che suscitava la loro invidia: ne conosciamo persone che, sulla base del “perché a loro sì e a me no”, si sono dati a ogni sorta di malversazione per avere ciò che invidiavano agli altri?

O sono forse migliori gli
accidiosi (canto XVIII), invece inerti e anche inermi nei confronti dell’altrui mal operare, costretti qui, per contrappasso, a correre (loro) gridando esempi sia di buon operare che di accidia punita.
I golosi (canto XXIII) invece se ne stanno, magri, affamati e assetati, sotto un albero colmo di frutta che non riescono a raggiungere. Tra queste anime di peccatori, Dante ravvisa il poeta Forese Donati con il quale imbastisce una conversazione che l’accompagna fino al Canto successivo, nel quale compare una profezia che riguarda il fratello del poeta, quel Corso Donati, guelfo nero, che Dante ritiene responsabile della rovina di Firenze: questi, trascinato da una bestia diabolica, sprofonderà all’Inferno. Torna qui, prepotente, la “corda civile” di Dante che, additando la corruzione del proprio tempo nella propria Patria, auspica una ‘salvazione’.

Nella settima e ultima cornice, è la volta dei lussuriosi (canti XXV-XXVI), avvolti da fiamme che ricordano quelle, metaforiche, della passione che li avvolse in vita. Ma tra queste anime incontra pure quella del poeta e maestro della poesia italiana, che così si presenta: “son Guido Guinizelli; e già mi purgo, / per ben dolermi prima ch’allo stremo”; cioè, per essersi pentito prima di morire, Guinizelli s’è salvato dall’Inferno. L’affetto che questo incontro muove in Dante sta lì a testimoniare che, pur nelle miserie civili, la poesia, la cultura rappresentano una leva potente.

Attraverso il fuoco purificatore
Perché il riscatto sia possibile, e perché sia davvero consentito sollevarsi più in alto, è necessario affrontare una vera “prova del fuoco”, questo perché solo la forza rigeneratrice delle fiamme davvero purifica. In pratica, Dante, per procedere, deve superare il “muro di fuoco” che avvolge la cornice dei lussuriosi. Virgilio stesso esorta Dante, spaventato da tale prova: “Or vedi, figlio: tra Beatrice e te è questo muro” (canto XXVII).

E così Dante supera la prova e i due pellegrini riprendono il viaggio verso la vetta. Fermatisi per la sosta notturna, Dante ha un sogno che prefigura il Paradiso ormai davvero vicino: vi compaiono due donne, che anticipano Beatrice. A parlare è la prima, una donna giovane e bella, che va raccogliendo fiori, e che presenta se stessa e l’altra figura femminile, sua sorella:

Sappia qualunque il mio nome dimanda
ch’i mi son Lia, e vo movendo intorno
le belle mani a farmi una ghirlanda.
Per piacermi allo specchio, qui m’adorno;
la mia suora Rachel mai non smaga
del suo miraglio, e siede tutto giorno.
Ell’è di suoi belli occhi veder vaga
com’io dell’adornarmi con le mani;
lei lo vedere, e me l’ovrare appaga”.

Chi sono queste due misteriose donne? Si tratta di Lia e Rachele, le due figlie di Labano e Giacobbe, di cui narra nella Bibbia: esse rappresentano rispettivamente la “vita attiva” e la “vita contemplativa”. Evidentemente, per Dante, che ha ripercorso nell’Inferno e nel Purgatorio le miserie umane, solo impegno concreto e studio, congiunti, possono indicare una via d’uscita. Bello è che, come per Beatrice, si tratti di donne! E viene in mente una donna del Novecento, la filosofa Hannah Arendt, che s’è occupata dei totalitarismi contemporanei, e che ha intitolato proprio Vita activa e La vita della mente due sue importanti opere.
Ma torniamo a Dante che, sulla base di questi auspici, finalmente è pronto a compiere l’ultimo salto verso il Paradiso, ora non solo per contemplare le stelle, ma per innalzarsi fin lassù:

Io ritornai dalla santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire alle stelle.
                                                                                                                                      
                                                                                                                                         di Enzo Rega





------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------I riferimenti nel testo sono a Dante Alighieri, Purgatorio, a cura di Natalino Sapegno, La Nuova Italia, Firenze 1956, 1969; Frantz Fanon, I dannati della terra (1961), Einaudi, Torino 2007; Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana (1958), Bompiani, Milano 2000 e La vita della mente (1978 ), Il Mulino, Bologna 2009.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Nessun commento:

Posta un commento